Occhi impuri. Pensiero di Giacomo Agosti

Giacomo Agosti (Milano, 1962) è uno scrittore, produttore teatrale e artista italiano, che attualmente alterna la sua attività di attore all’insegnamento di pratica e cultura dello spettacolo. Tornando alle riflessioni relative all’«esserci» sulla scena, Agosti ha qui voluto riportare una sua riflessione critica circa un concorso canoro che si è tenuto da remoto, senza palcoscenico.


Si è già detto e scritto del Concorso di Canto Lirico Virtuale SOI Scuola dell’Opera Italiana.
Un’iniziativa voluta e organizzata da Fiorenza Cedolins, soprano italiano, nel primo anno della pandemia, di un concorso di canto lirico esclusivamente online, cioè nato da riprese video che i giovani cantanti facevano su loro stessi, a proprie spese, possibilmente senza limitarsi a riprendere il proprio canto accompagnato dal pianoforte.
È su queste premesse che ho deciso di condividere l’impegno con Fiorenza, in occasione della seconda edizione (2021) conclusasi nei mesi scorsi.

Volevo vedere come la creatività si sarebbe realizzata, quale punto di vista avrebbero preso i concorrenti : mi è piaciuto premiare sia chi (come De Campo) ha elaborato una complessa regia – e scenografia – di se stesso, creando un accompagnamento ad archi per l’Ella giammai m’amò, sia chi (come Artagalyev e la Kankova) ha lavorato sulla riduzione (ambientando Come dal ciel precipita nel foyer di un teatro stalinista e l’ Holle Rache in casa propria) sia , infine, chi ha proposto un repertorio prediletto e poco noto in Italia come l’operetta americana nelle sue relazioni con la musical comedy (Deborah Katz).

Tutto questo – ripeto – si è concluso come doveva concludersi: “nella rete”, dietro al monitor.
Quando Fiorenza mi ha proposto di partecipare al galà dei cantanti premiati dalla giuria intera (grandissima e allargata a diverse personalità e teatri), confesso di avere avuto qualche dubbio.
A me non interessava essere rassicurato sulla “verità” della voce.
Sulla autenticità.
Ero (e sono) pago di avere premiato una creazione autonoma, più vicina a MTV che al mondo delle audizioni.
Così, ero convinto che il “galà” si sarebbe portato dietro la retorica visiva della serata di gala, e quindi la formalizzazione con l’abito lungo e lo smoking scuro che non aggiunge ma toglie aura all’esecuzione. Perché è una forma che non rende ragione del richiamo dell’ascolto (il canto non conosce costume) e delle abitudini di visione, pomeridiane o teatrali.

Nulla di tutto questo si è visto e ho visto nel galà dei vincitori, che – invece – sono stati invitati a cantare DAVANTI al loro video. Badate, è importante il maiuscolo perché chi mi legge deve capire bene di cosa si trattava.
Proiezione di un video senza sonoro e sul palco (del teatrino di Villa Medici Giulini) il cantante accompagnato dal pianoforte a cantare – nel migliore dei casi – lo STESSO brano del video con lo STESSO costume.
Dico “nel migliore dei casi” perché i pochi ragazzi e ragazze che hanno presentato un’aria diversa rispetto a quella del concorso, e dunque hanno interpretato un pezzo completamente nuovo senza la proiezione video preesistente, hanno dato prova di saggi eccezionali in certi casi (Helène Walter), molto curiosi in certi altri (Constança de Sousa y Melo), ma che tutti esulano da quello su cui voglio riflettere. E cioè la possibilità del cantante di guardarsi mentre canta, di farsi guardare due volte e soprattutto di offrire “un ricordo” di quello che era stato.
Facciamo qualche esempio.

Il tenore ungherese Peter Bodolai aveva cantato l’Addio alla mamma di Cavalleria in un video ambientato in una taverna facendosi aiutare da una figurante vista di spalle che “rappresentava” mamma Lucia.
Visto sul palcoscenico vuoto, senza botti e tavole (che vedevamo nel video), e soprattutto “solo”, Bodolai apriva a noi spettatori un varco sul mancante, sulla persona che non c’era più – in termini drammatici, sulla madre che Turiddu stava per perdere.
Questo ha enormemente potenziato la resa del canto e lo stesso effetto si è avuto con un altro addio alla vita, e cioè con la Canzone del Salice interpretata da Emanuela Sgarlata. Anche nel suo caso il video che scorreva sullo schermo era completo di tutto, dalla scenografia della stanza da letto alla presenza di Emilia.
E, posso dirlo ora, proprio per la presenza del “tutto” sia il suo video che quello di Bodolai mi erano sembrati “ingenui” o depotenziati. Ora, sul palco, l’assenza di Emilia diventava bruciante e quando Emanuela ha gridato “Emilia, Emilia addio”, un brivido di verità mi ha serpeggiato sulle braccia.
Ancora un caso curioso.
Laura Esposito aveva cantato il valzer della Giulietta di Gounod vestita come Audrey Hepburn nella mise da pomeriggio in Vacanze Romane e su questo confronto con la grande icona aveva costruito un video che era piaciuto moltissimo sul web. Anche in questo caso posso dire che a me non era “piaciuto” perché consideravo perdente il confronto, tra una ragazza e un mito.
In scena Laura, vestita come Audrey, si era messa in un angolo buio e a quel punto per tanto che i primi piani di Audrey giganteggiavano alle sue spalle e raccontavano la storia amara che sappiamo, altrettanto la voce della ragazza usciva dal buio come un commento funebre, con un’intensità e una chiarezza che mi ha fatto capire perché una grande agenzia l’abbia selezionata e premiata.
Il confronto col proprio doppio prendeva una scioltezza particolare via via che le ragazze si staccavano dal cosiddetto repertorio “alto”.
Sumika Kanazawa ha ricantato un Lied giapponese, composto per lei, sulla fioritura dei ciliegi, che ascoltato dal vivo non era meno interessante della registrazione video: il cambio di vestito (Sumika sul palco aveva un abito da gran sera mentre nel video era vestita più informalmente) creava un confronto molto stimolante, quasi un passaggio di staffetta e di significato tra i due contenitori corporei.
Stefania Seculin, che aveva presentato nel video un’aria dal musical tedesco su Mozart inedito in Italia, ha proposto un’aria da un musical su Elisabetta dello stesso autore (Sylvester Levay) che è riuscita ad andare in un dialogo suggestivo con le immagini del video. Voglio dire che un video non descrittivo (Stefania esplorava un ambiente) di un’aria non conosciuta ha facilitato uno spostamento e quasi una ri-scoperta di sé, perché sembrava che la Seculin stesse cantando mentre guardava quello che aveva fatto.

Arriviamo così ai due casi in assoluto più riusciti del galà.
Lalit Worathepnitinan è una giovane thailandese che aveva vinto col Mein Herr Marquis del Pipistrello. Ripresa frontale, solo lo spumeggiare di una ragazza in piano americano.
Sotto al video – grande – Lalit non è sparita. La forza, la carica, probabilmente il sentirsi appoggiata, hanno spinto lei come gli altri a NON cercare dal vivo la corrispondenza col lip-synch del video ma a creare in un’autonomia dialettica estremamente potenziata.
Il risultato è stato inarrestabile.
Veniamo a Juan De Dios Mateos che in qualche modo aspettavamo al varco convinti che il piccolo miracolo del video non si sarebbe potuto ripetere. Juan aveva proposto l’aria della Cenerentola – “Sì, ritrovarla io giuro” spostando il significato dell’oggetto del ritrovamento, da Angelina alla mascherina per evitare il contagio. Don Ramiro, nel suo video, non sta uscendo a cercare una ragazza MA sta cercando la mascherina PER poter uscire. Il video era stato girato in un lungo piano sequenza, tra piano terra e primo piano della stessa casa, con un intervento audio della madre, per concludersi con la scoperta che la mascherina l’aveva addosso, infilata al braccio sotto la manica della giacchetta.
Come si poteva ripetere tutto questo sul palcoscenico?
Vuoto?
E soprattutto poteva ancora illudere la ricerca della mascherina?

Se il lavoro è riuscito – e ora cerco di spiegare come – lo si deve alla convergenza tra tre fattori.
Juan conosceva bene il video dietro di lui e si faceva in qualche modo accompagnare.
Noi conoscevamo la situazione scenica ed eravamo disposti a guardare, a giudicare e, perché no?, a farci sorprendere.
Qualcuno, e diremo chi, gli ha tenuto testa e gli ha dato una mano.
A tratti Juan sembrava dubitare di quello che faceva;  l’aria è lunga e come variare, come ritrovare i tempi di una casa (quella del video) in cui si era mosso provando e riprovando e magari cantando col voice over?
C’è stata una piccola variazione. Ad un tratto, nell’esecuzione in scena, Don Ramiro in maglietta e blue jeans (quelli del video) ha trovato una boccetta di gel. Per qualche istante la boccetta avrebbe potuto affiancarsi se non sostituirsi alla mascherina, così Juan l’ha coccolata con una piccola voluttà che mi ha ricordato l’indulgenza della Susanna di Wolf Ferrari che finalmente mette la mano sulla sigaretta.
Ma è stato solo un attimo. La scena con la boccetta, teatrale come in un allestimento contemporaneo e attualizzato, è finita troppo presto per diventare “finta”, già vista, e Juan ha ripreso la ricerca. Al posto della madre gli ha dato la replica Fiorenza dal pubblico e ci si sono associate le ragazze dal camerino.
Alla fine, tra gli acuti, Juan si è ricordato di avere la mascherina con sé e per l’entusiasmo ha alzato il busto e la maglietta si è sollevata fino a rivelare l’elastico delle mutande. Questo, che non sarebbe mai successo in scena se non per dichiarare un dettaglio di costume (magari la griffe di un underwear), ha fotografato un’akmé.

 

Tutti i video del concorso

 

Articolo di Giacomo Agosti


CREDITS

Cover: operaclick.com

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collaboratore

Milano, 1962. Scrittore, produttore teatrale e artista italiano.
Insegna dal 1987 Metodologia della critica d'arte e Pratica dello spettacolo all'Accademia di belle arti di Brera.
Fondatore nel 2003 dell'Associazione Il Nuovo Mondo. Attualmente è in corso di stampa, per l'editore Ricordi, "L'Isola delle Sirene. Cultura Omosessuale e Musical Americano da Busby Berkeley a Betty Grable".

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